La morte di Marco Pannella, liberale e radicale, autentico cittadino del mondo, è un lutto di tutte le persone civili, tolleranti, capaci di comprendere che l’impegno civile è passione e disinteresse. La sua morte segna anche la fine di un incubo per tutti i fanatici e i mestieranti come lo fu, 50 anni fa, la chiusura de Il Mondo di Mario Pannunzio. Pannella era cresciuto politicamente nelle stanze di quel giornale in via Campo Marzio a Roma ed era cresciuto alla scuola austera e severa di Pannunzio, lui che, già allora, si considerava un libertino, prima ancora di essere un liberale, per usare un aggettivo caro al torinese Arrigo Cajumi.
Nella sua primissima giovinezza Pannella era stato monarchico e una volta mi parlò della sua convinzione monarchica giovanile che vedeva nella Monarchia un presidio di laicità dello Stato, come la sentiva Cavour e mi disse dei suoi rapporti con Falcone Lucifero ministro della real Casa. Un’altra volta mi disse che aveva appreso da Pannunzio una certa eleganza nel vestire e mi ricordava le grisaglie e il doppio petto di Mario, corretto in lui da una cravatta vivace. Ma disse anche che lui proveniva da una famiglia dell’alta borghesia abruzzese imparentata con la famiglia di Croce nato a Pescasseroli.
Non ci sono eredi diretti del giornalismo di Mario Pannunzio. Risorgimento liberale e Il Mondo sono giornali irripetibili. Ma sotto il profilo delle idee si può parlare, parafrasando Pasolini, delle «Ceneri di Pannunzio» disperse al vento dopo che egli morì nel 1968. Le ceneri si sono disperse, ma tracce di quelle ceneri le troviamo qua e là: da Ronchey a Scalfari, da Pannella (che fu giornalista professionista, ma non ha lasciato grandi testi scritti, semmai discorsi vivi e appassionanti che rivelano in lui un’eccezionale oratoria civile che è andata irrimediabilmente perduta con la sua morte) al Giornale di Montanelli, a tanti che, pur non avendo nomi altisonanti, hanno fatto propria la sua lezione.
Per ragioni di stile (anche se potrei citare Ignazio Silone che mi diceva che il vero erede e continuatore di Pannunzio si può considerare il Centro Pannunzio) mi chiamo fuori. Certo quell’eredità non può riguardare, neppure lontanamente, gli uomini della II Repubblica che hanno dimostrato di non sapere l’abc del liberalismo e non sanno neppure chi sia stato Pannunzio. L’unico, le cui battaglie civili e laiche siano in coerenza con Il Mondo di Pannunzio, è stato il grande vecchio della politica italiana con la P maiuscola, Marco Pannella.
Pannella è stato un liberale autentico, che ha saputo con i fatti, pur rappresentando un’esile minoranza, imporre all’attenzione del Paese riforme importanti come la legge sul divorzio. Ed è stato un laico che ha saputo rispettare anche i «credenti»: sua la formula della laicità che tocca «credenti e non credenti» e che va oltre il laicismo settario anche di certi radicali approdati al radicalismo da esperienze non felici in Lotta Continua .
Inoltre, Pannella ha introdotto il principio della non violenza e della tolleranza politica, rompendo le logiche manichee e violente del ’68, ma anche di certo antifascismo che riproduceva, forse senza rendersene conto, i canoni di uno squadrismo di segno contrario,come aveva scritto coraggiosamente in un aforisma Ennio Flaiano.
Ma Pannella ha significato anche la battaglia contro la pena di morte nel mondo e il sottosviluppo del Terzo Mondo. Fu il primo, del tutto inascoltato, a proporre in Italia la necessità di aiutare i popoli in difficoltà a casa loro, prevedendo il dramma delle migrazioni inarrestabili. Non è casuale che Papa Giovanni Paolo II volle riceverlo, lui considerato un «incorreggibile» anticlericale. Stima sincera verso di lui espresse anche Papa Francesco.
Non sono mai stato radicale con tessera, ci siamo conosciuti quando con Bruno Segre a Torino, nel 1967, fondammo la Lid, la Lega per il divorzio. Ci siamo rivisti in altre occasioni, la più importante quella per il ricordo torinese di Enzo Tortora con Francesca Scopelliti, ma la nostra conoscenza è sempre rimasta superficiale. Ricordo cosa scrisse di lui Eugenio Montale nel 1974: «Dove il potere nega la vera libertà, ogni tanto spuntano uomini ispirati come Marco Pannella. Soli e inermi, essi parlano anche per noi». A Torino nel 2010 lo festeggiammo al Circolo della Stampa per i suoi 80 anni. Fu una manifestazione di grande rilievo nazionale a cui non fece mancare un lungo, non formale, messaggio il Presidente Napolitano. Pannella amava Torino dove aveva fatto il servizio militare. Sempre nel 2010 fu al mio fianco per il centenario della nascita di Pannunzio contro una lobby pseudo-radicale ed ex repubblicana con complicità massoniche che voleva appropriarsi del centenario e delle migliaia di euro stanziati dal Governo. Quando proposi di rinunciare alla nascita di un comitato nazionale presso il Ministero e di destinare la somma stabilita per restaurare un bene culturale dell’Abruzzo colpito dal terremoto, fu Marco, appena vista l’Ansa dopo mezzanotte, ad esprimermi la sue totale solidarietà, ricordando che Pannunzio, proprio come lui era abruzzese. I nostri rapporti hanno anche avuto a che fare con Napoli dove più volte ci incontrammo a Palazzo Filomarino a casa di Alda Croce. Certi radicali di conio recente non sanno neppure che a Napoli esista Palazzo Filomarino, residenza di Benedetto Croce.
In questi ultimi anni, in cui i nostri contatti si sono infittiti, ho conosciuto un uomo straordinario di rara raffinatezza intellettuale e di una dolcezza interiore indicibile, che il duro scontro politico forse ha nascosto ai più. A Roma facevamo colazione in piazza del Pantheon, vicino all’hotel del Senato dove si riunivano le organizzazioni universitarie degli anni Cinquanta in cui Marco si era formato. Spesso mi raccontava della sua famiglia e delle proprietà abruzzesi che dovette vendere per continuare a fare politica. Basterebbe questo per capire chi sia stato Marco rispetto ad una classe politica troppo spesso corrotta. Io gli ricordavo a mia volta Marcello Soleri che chiudeva lo studio d’avvocato quand’era al governo o anche solo deputato. Quando ne ripubblicai le memorie, mi telefonò parlando di Soleri come uomo del Risorgimento.
Quando il Centro Pannunzio, unico in Italia, festeggiò i suoi 80 anni, su facebook venne creata una pagina con l’evento a lui dedicato: notai l’affetto di cui godeva Pannella, ma anche l’astio fazioso che provocava il suo nome. Il veleno che lessi su facebook è il miglior elogio che gli si possa fare.
Per i suoi 80 anni, Roberto Saviano - personaggio che non amo - espresse i suoi auguri con una serie di ossimori che riassumono a pieno lo spirito e le battaglie di Marco Pannella: «Maestro di libertà, pastore che disperde il gregge, secondino che apre i cancelli, giudice che assolve la colpa e condanna la pena, uomo di dignità e passione, una passione vasta quanto l’infinito stesso».
Meglio non si poteva dire. Marco Pannella chiude con dignità la storia del Novecento ed apre la storia del nuovo secolo con una coerenza, un disinteresse, una passione civile che sono estranei al nuovo secolo in cui siamo entrati e sono stati molto rari anche nel Novecento dove quelle che Barbara Spinelli definiva un tempo le «utopie assassine», hanno avuto la meglio sui valori democratici e liberali che uomini come Pannunzio e Pannella hanno espresso con una testimonianza testarda ed eretica. Uomo dolce ed affettuoso, rimarrà nel mio cuore come esempio civile e morale di un’Italia di cui andare orgogliosi, anche quando commise degli errori. La libertà dall'errore è dei fanatici, i laici rivendicano invece il valore della libertà dell’errore. Marco è stato il leone che ha saputo ruggire contro tutti i soprusi e le prepotenze, piccole e soprattutto grandi, che hanno dominato il tempo della sua vita davvero dannunzianamente (un quarto grande abruzzese) inimitabile.

Pannella-Quaglieni